L’ABILITA’ DI “NON SAPERE”

Nell’Apologia di Socrate, il suo discepolo Platone cita un episodio avvenuto a Delfi, presso il famoso oracolo, dove Cherofonte, era andato per chiedere un responso su chi fosse l’uomo più sapiente di Atene. L’oracolo rispose: “nessuno è più sapiente di Socrate”. Cherofonte riferì a Socrate il responso, ma Socrate sapeva di non sapere, così iniziò a interrogare diverse figure del tempo, restando però insoddisfatto da ognuna di esse, poiché nessuna di loro era veramente sapiente in senso stretto rispetto ad altri, nemmeno i cosiddetti “sofisti”, che si vantavano di essere i veri sapienti del tempo. Socrate concluse quindi che l’oracolo non si era sbagliato perché in fondo: “È sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s’illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza”. 

Socrate potrebbe apparire molto radicale con tale affermazione, che arrivava a definire l’impossibilità di una vera e piena conoscenza, ma allo stesso tempo ci spinge a suo modo a interrogarci su quello che veramente sappiamo di un determinato argomento. La spinta maieutica di Socrate sta proprio in questo interrogativo: “La nostra attuale conoscenza porta a ritenerci totalmente esperti in una determinata materia?”. In caso di risposta positiva non ci sarà alcuna messa in dubbio delle proprie capacità e si sarà meno propensi ad accettare altre prospettive in tale materia. In caso di risposta negativa si è invece portati a voler approfondire tale materia al fine di ottenere maggiore conoscenza, con la consapevolezza che ci sarà sempre margine per un ulteriore miglioramento.

profili professionali di oggi sono sempre più multi-task per far fronte a richieste che si collocano a cavallo tra un sapere ed un altro, come spesso capita a chi deve sapersi interfacciare con la clientela, è necessaria la conoscenza degli strumenti elettronici (PC, tablet, smartphone, ecc.), così come è necessario riconoscere e analizzare quale sia la soluzione più adatta al cliente. Di conseguenza viene ad aumentare l’autonomia, la responsabilità, la discrezionalità degli interventi negli ambienti di lavoro. A fronte di tale andamento progressivo, come è possibile restare al passo con i tempi? Com’è possibile riuscire a rispondere in maniera efficace alle tante richieste?

Un’eccessiva richiesta, a fronte di competenze ancora da sviluppare, può condurre a burn-out o lavoro stress correlato, oggi fenomeni divenuti più concreti e reali rispetto a decenni fa, proprio a causa di richieste sempre più complesse e diversificate e alla maggiore attenzione alla salute sul luogo di lavoro.

La formazione ci viene incontro a tal proposito. Quando è ben organizzata e situata, la formazione, aiuta ad approfondire tematiche altamente correlate alla tipologia di lavoro o a un settore specifico d’impiego. In alcuni casi, specie se in presenza, aiuta a identificare determinate problematiche e a favorire lo scambio e il confronto all’interno del gruppo di lavoro. Formazione non è solo una trasmissione di saperi, ma aiuta e supporta lo sviluppo delle abilità e delle competenze, facendo leva sulle capacità preesistenti e sulla motivazione degli allievi.

La formazione rappresenta in tal senso un processo continuo che permette di migliorare conoscenze, competenze e atteggiamenti in un determinato settore per garantire una migliore condizione lavorativa.

Tale formazione garantisce in primo luogo l’acquisizione di nuove expertise da parte degli allievi, che potrà spenderle anche in successive esperienze lavorative, in secondo luogo garantisce un miglioramento della qualità del lavoro e in terzo luogo garantisce all’azienda di acquisire maggiore valore e competitività sul mercato.

L’identità dell’azienda, e l’immagine che possiamo percepire di essa, passano inevitabilmente dall’identità professionale di ciascun dipendente, dal marketing al customer care, dai ruoli di back office a quelli di front office.

Secondo lo studioso James Heckman i tratti di personalità che meglio ci caratterizzano e ci permettono di fronteggiare al meglio determinate difficoltà (lavorative e non) sono definiti “non cognitive skills” (abilità non cognitive), cioè aspetti come creatività, flessibilità, capacità critica, problem solving, resilienza, capacità di lavorare in gruppo. Queste soft skills, che condizionano l’apprendimento e le abilità lavorative, possono cambiare in maniera significativa nel corso dell’esistenza di un individuo. Ebbene, questo bagaglio, che è una sintesi di capitale psicologico e sociale delle persone, è (e sarà) fondamentale in un mercato del lavoro che richiede cambiamenti continui e sostanziali. Per tale motivo, lo sviluppo di competenze più strutturali (le cosiddette “hard skills”) legate a un ambito prettamente tecnico e specifico del sapere, non potrà essere disgiunto dallo sviluppo di capacità cosiddette “soft”, che garantiscono un necessario e fondamentale supporto nella gestione e nell’uso di tali conoscenze.

La formazione sulle soft skills è destinata a integrarsi con le normali formazioni tecniche, sfruttando sempre più una modalità definita “blended learning”, intesa come mix di metodologie formative che garantisce semplice fruibilità e immediatezza, grazie all’utilizzo di pratiche miste tra aula e remoto, rendendo la formazione più efficace e continuativa.

Oltre a questa pratica formativa, che in seguito alla pandemia è divenuta sempre più utilizzata, sono preziose anche metodologie più tradizionali, come l’active learning, basato su un processo esperienziale attivo di apprendimento nella gestione e risoluzione di situazioni (es. apprendimento peer-to-peer, gamification, training on the job, role playing, ecc.).

Infine anche l’outdoor training rappresenta una possibile pratica di apprendimento e sviluppo, in special modo per garantire e rinsaldare il legame tra colleghi e la capacità di lavorare in squadra (v. team building). In tale training le persone sono chiamate a mettersi in gioco, a uscire dalla loro comfort zone e dagli schemi consueti in cui si trovano ad agire.

Il Consiglio Europeo, nel 2019, ha delineato alcune linee guida per lo sviluppo delle competenze trasversali (LifEComp) che sono utili oggi e saranno fondamentali per le generazioni del futuro. Tra queste vi è il saper “imparare ad imparare” che prende in considerazione una predisposizione mentale alla crescita, il saper utilizzare adeguatamente il pensiero critico, e saper gestire il proprio apprendimento.

All’istituzione scolastica spetta l’arduo compito di supportare e sviluppare tali specifiche abilità che saranno utili per tutta la vita. Alle aziende e alle organizzazioni spetta invece il compito di garantire una formazione specifica adeguata alle sfide di oggi e di accompagnare i propri lavoratori nel migliorare le proprie competenze per restare al passo con i tempi.

Non ci possiamo permettere come facevano i sofisti dell’antica Grecia di considerarci “sapienti” in un determinato settore del sapere, perché oggi, mutatis mutandis, di qualunque settore si parli, avremo a che fare con una realtà sempre più intrecciata con saperi di altre discipline e in continua evoluzione.“Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo è un oceano.” -Isaac Newton

Dott. Davide Pelizzola – Dottore in Psicologia, Educatore Professionale e Psicologo in formazione, collabora da anni con diverse realtà educative tra cui scuole, comunità di minori e terapeutico-riabilitative.