PLAGIO E IMITAZIONE – Parte I

Nel mercato contemporaneo spesso ci si trova di fronte a fenomeni di strategie di imitazione di prodotti, marchi e segni distintivi e, più in generale, della proprietà intellettuale altrui. Il termine che genericamente intende questi fenomeni è quello di plagio: con ciò si intende l’appropriazione di idee o altri tipi di informazione di altri individui. 

Si intende qui esaminare come concretamente possa avvenire il plagio e quale sia la disciplina giuridica prevista per contrastare questo fenomeno. 

In generale, a livello giuridico ogni forma di plagio ed imitazione rientra in quella che l’art. 2598 Codice Civile definisce come “concorrenza sleale”, ricomprendendo in particolare tre diversi comportamenti: 

  1. Utilizzo di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con quelli legittimamente usati da altri, oppure l’imitazione servile dei prodotti di un concorrente, ad un prezzo inferiore, oppure ancora il compimento di atti idonei a creare confusione con i prodotti e l’attività dei concorrenti;
  2. Diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e attività di un concorrente idonei a screditarlo, o a contrario appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa concorrente; 
  3. Utilizzo di ogni altro mezzo, genericamente inteso, non conforme alla correttezza professionale e idoneo a screditare il concorrente. 

Nella prassi, ciò che avviene più comunemente è l’imitazione di marchi di prodotti, insegne di negozi e ditte di altre imprese. Ci si riferisce, in generale, a tutti quegli elementi che concorrono a determinare l’immagine commerciale di una certa impresa. Per alcuni di questi elementi la legge prevede una disciplina specifica. Ci si riferisce ai cd. segni distintivi tipici, cioè la ditta (il nome commerciale dell’impresa), il marchio, l’insegna ed il nome a dominio (l’indirizzo che permette di collegarsi ad un sito internet). Di questi, la disciplina più completa è quella prevista per le prime due ipotesi. Accanto ai cd. segni distintivi tipici, si ritiene inoltre che anche i cd. segni distintivi atipici, cioè quelli non espressamente previsti per legge, godano di tutela giuridica: in ogni caso, infatti, anche questi ultimi rientrano nella tutela, ampia ed elastica, accordata dalla disciplina della concorrenza sleale di cui sopra si è accennato. Si parla, in proposito, di unitarietà dei segni distintivi.

Ma in cosa consiste la tutela giuridica prevista in queste ipotesi? Fondamentalmente, la legge prevede il divieto di adottare un qualsiasi segno distintivo, sia tipico che atipico, che possa determinare un rischio di confusione per il pubblico o di associazione fra i due segni, in ragione dell’identità o somiglianza fra i segni distintivi stessi (così anche l’art. 22 del Codice della Proprietà Intellettuale). 

Oltre all’imitazione dei prodotti, un altro fenomeno che avviene meno spesso è quello dell’imitazione della capacità tecnologica e, più in generale, delle competenze finalizzate alla produzione e innovazione. La forma di tutela giuridica ad oggi più avanzata per proteggere questi profili è costituita dal brevetto, che permette così in maniera particolarmente efficace di proteggere le proprie idee. Questo strumento è centrale, poiché ad oggi il know-how di un’azienda contribuisce enormemente al suo patrimonio immateriale. 

Altro caso ancora, molto rilevante, è quello dell’imitazione dei prodotti commerciali, che consiste nella copiatura dell’aspetto complessivo di un prodotto, ove tale imitazione appaia agli occhi del consumatore come uguale al prodotto fornito dall’imprenditore imitato. Con una precisazione: la forma copiata deve essere in grado di rendere il prodotto riconoscibile, quindi non si ha imitazione servile quando vengono imitate forme e caratteristiche comuni di tutti i prodotti appartenenti ad un determinato genere. 

Spesso si parla del termine/concetto di look alike: cioè le imitazioni, spesso coincidenti, degli elementi caratterizzanti i prodotti più conosciuti, in particolare il packaging, la forma, le linee, le etichette. Sotto un profilo giuridico, anche questo comportamento è ritenuto un illecito, che consiste nella concreta potenzialità confusoria dell’imitazione. Il fenomeno del look alike è particolarmente diffuso nel nostro Paese, in cui il caso tipico è quello dei cd. own-brand products delle grandi catene distributive (supermercati e discount). Questa strategia è particolarmente subdola e vantaggiosa per l’imitatore, mentre contestualmente produce un grave pregiudizio per l’impresa imitata. L’impresa imitatrice, infatti, trae beneficio dalla maggiore notorietà dell’impresa imitata e dal fatto di proporre di un prodotto apparentemente uguale ma ad un prezzo di solito maggiormente competitivo. L’impresa imitata, invece, spesso si trova sguarnita di tutela, poiché difficilmente le confezioni, le forme od il packaging dei prodotti risultano registrati come avviene invece per i marchi. Inoltre, poiché spesso gli autori di questa strategia sono i grandi distributori, l’azienda imitata non intraprende azioni legali per evitare di andare contro il proprio interesse, andando in giudizio proprio contro i suoi migliori clienti. 

Anche in queste ultime ipotesi, in generale, la giurisprudenza ritiene che sia azionabile la tutela prevista per la concorrenza sleale. Ciò con la riserva già accennata: è necessario che vi sia un pericolo di ingenerare confusione nel consumatore (così anche l’art. 2598 Codice Civile). Le pronunce su questo tema sono però molto poche, proprio per le problematiche sopra accennate. 

Infine, vale la pena evidenziare che talvolta questa imitazione avviene con riferimento a prodotti di una categoria merceologica differente, sia per evitare percezioni negative da parte dei consumatori, sia per ridurre il rischio di contenzioso (come ad esempio successo nella controversia Haribo Gold Bears c. Lindt Gold Bear).  

Dimitri De Rada
Avvocato, è autore di numerose monografie ed altre pubblicazioni giuridiche,
docente presso l’Università la Sapienza di Roma (Master in Diritto Privato Europeo), è stato professore a contratto presso il Politecnico di Milano e visiting researcher presso la Fordham University, New York.